Mario Monti ha parlato al Paese come nessun suo predecessore (tantomeno il Capo dello Stato) ha mai fatto. E' stato un discorso che avremmo dovuto ascoltare già nel 2008 e che avrebbe avuto contenuti sicuramente meno dolorosi ma che nessuno ha avuto il coraggio di pronunziare, terrorizzato dalla perdita dei consensi elettorali. L'eloquio, lo sguardo intelligente, l'austera moderazione dei termini e la sconfinata capacità diplomatica di Mario Monti hanno fatto sembrare per due ore il nostro Paese - notoriamente infestato di furbi, cialtroni e legulei - finalmente un Paese normale, fatto di persone disposte con maturità ad accettare i sacrifici imposti dai binari del pareggio di bilancio.

Il risveglio in questa Italia del lunedi sarà contrassegnato da due comportamenti della gente : chi comincerà a rendersi conto che i tempi delle garanzie sindacali, dei favori, degli abboccamenti con gli assessori compiacenti e delle furbate "tanto pagano gli altri" sono finiti per sempre, mentre altri continueranno ad indebitarsi per mantenere un tenore di vita da Roma felliniana, rischiando di cadere facendosi molto male. Le lacrime di Elsa Fornero parlano chiaro su quanto sia costato in termini psicologici a questo manipolo di uomini di cultura e di finanza - quasi costretti dagli eventi ad occuparsi loro malgrado della salvezza dell'Italia - il riportare in sesto i gravissimi squilibri cristallizzati da decenni di sconsiderata disonestà, non solo nella vita pubblica e pertanto noi tutti dobbiamo conferire loro rispetto, riconoscenza e gratitudine.

Immaginando infine che la manovra da 25 miliardi non esaurisce il prospetto delle misure che potranno essere ulteriormente inasprite, dobbiamo tutti insieme ricordare la caduta dell'Impero romano d'occidente e quantomeno non dimenticare che le epoche storiche sono ineluttabilmente ricorrenti e che quindi pensare ancora che nonostante tutto qualcuno ci vorrà salvare, rischia stavolta di essere una mortifica ingenuità.

 

A Torino ci sono tanti eventi storici e nobili da commemorare. Negli ultimi mesi si sono susseguite pregevoli iniziative nelle quali la storia patria ha dato dimostrazione di orgoglio per tutto il popolo italiano, sopratutto per i cittadini di Torino, quale culla della gestazione e della nascita dell'Italia Unitaria.

Ieri invece, evidentemente con l'agenda sgombra da impegni, il sindaco di Torino Piero Fassino ha commemorato alla presenza del presidente albanese Topi (non quelli della Crocetta di cui ad un nostro precedente articolo) per festeggiare i venti anni dai primi arrivi di cittadini albanesi nella nostra città.

Certo è necessario chiarire che non si tratta di osteggiare le differenze o peggio inalberare questioni razziali, ma in tanti oggi si domandano se questo cerimoniale era proprio necessario in un momento di priorità ben più pressanti che riguardano il futuro dei nostri giovani e di migliaia di posti di lavoro in bilico o già persi a causa della crisi che sta attraversando l'Italia ed in particolare la nostra cara e parruccona Città ex-industriale.

Il via è stato dato, tra le urla di giubilo degli oppositori al regime.

Silvio Berlusconi ha rassegnato le dimissioni dal suo quarto governo. Forse gli sarebbe piaciuto avvicinarsi un pò di più ai sette mandati di Giulio Andreotti, ma l'età anagrafica, la consunzione del bersagliamento quotidiano che dal 1994 lo hanno messo a dura prova e la congiuntura politico-finanziaria irrespirabile come quella degli ultimi mesi non glielo hanno consentito.

In molti, io per primo, ci siamo chiesti chi glielo facesse fare di rimanere aggrappato ad un incarico tanto scomodo in un momento così greve e la risposta non è semplice come il popolo bue immagina, ovvero per evitarsi la galera. Berlusconi in fondo in questi anni di riflusso che sono stati l'inizio della fine dell'Impero Romano d'Occidente, ha compiuto la sua missione : reggere il timone di un Paese che gli ha dato fiducia in tante occasioni e, al di là di storture e vizi privati resi maldestramente pubblici, ha ritenuto fosse giusto non mollare alla prima difficoltà, e nemmeno alla seconda, alla terza, alla centesima. Ed infatti l'Italia non ha fatto tanto peggio di altri paesi europei più blasonati dal punto di vista della credibilità politica ed economica.

Gli italiani non sono i figli dell'impero coloniale della corona britannica, ne tantomeno i dominatori francesi che l'impero se lo sono giocato un pò meno bene, ma siamo un popolo di furbi, di legulei, di gente che appena può cerca di fregare il prossimo e le istituzioni dello stato, anche se ci piace tanto fregiarci di ben altre medaglie, quali il paese della solidarietà e della sanità pubblica migliore al mondo.

Come si poteva pensare di essere rappresentati diversamente ?

Oggi inizia il conto alla rovescia verso un probabile fallimento del Paese che solo un uomo di grandi capacità può provare a gestire con le istituzioni europee e con la dura legge dei mercati finanziari che sta schiacciando l'Italia sotto un peso ben più grande del nostro debito pubblico. Un peso sopratutto morale che si assumono gli oppositori del regime, incapaci di comprendere quanto i loro molteplici tentativi di abbattere il rais nascondano un vuoto pneumatico cui neppure loro sanno dare un minimo contenuto. Però sapranno organizzare l'ennesima grande adunata in Piazza San Giovanni con molti artisti che canteranno in segno di vittoria, bevendo felici e contenti.

 

Neppure la curiale figura del fondatore di uno dei poli di eccellenza della sanità nostrana, Don Luigi Verzè, è stato risparmiato.

Nel buco da un milardo e mezzo di euro ci sono tutti, intenti a gestire un traffico di fatture gonfiate a danno dell'erario, della sanità pubblica, dei cittadini. Storie di barche di lusso, di soldi riciclati, di affari sporchi.

Ma è possibile che in questo Paese sia diventato impossibile trovare un ente che abbia svolto la sua missione senza dover ricorrere alla frode, danneggiando la collettività che ignara è costretta, trattandosi in questo caso di un ospedale, a fidarsi di queste persone ?

"Dagli inizi del Novecento, aveva visto la luce anche uno studio di piccole e piccolissime imprese che avrebbero costituito nei decenni successivi il tessuto connettivo dell'industria italiana e che, nel frattempo erano il filtro attraverso cui stava avvenendo la separazione delle attività manifatturiere dall'agricoltura e dall'artigianato, in coincidenza con l'apertura di piu ampi spazi di mercato. E i protagonisti di questa transizione erano partiti per lo più dalla gavetta, dai ranghi operai o dalla gente di bottega, per poi mettersi in proprio grazie all'apporto solidale in mezzi e braccia delle loro famiglie, e a una dedizione assoluta al proprio mestiere, nonché a un'estrema parsimonia nell'amministrare quel poco che possedevano: convinti com'erano che questi fossero gli ingredienti essenziali per far marciare le macchine e costruirsi una fortuna.Tanto da far dire a Luigi Einaudi che per questa via si stavano formando "più fresche e solide energie", tali da far ben sperare per il futuro del paese.

V.Castronovo "Cento anni di imprese" - Storia di Confindustria, Laterza 2010