Mauro Anetrini ha fondato il "partito dei crin" e qui esprime uno dei suoi modelli di democrazia

Mi piacciono. I dirigenti del Pd mi piacciono. Oddio..., non da andarci pazzo, ma mi piacciono.

Mi piacciono, ad esempio, quando dicono che, senza il rimborso elettorale o altra forma di sostegno pubblico ai partiti, in questo Paese potrebbero fare politica soltanto i ricchi.

Mi piacciono, anche, quando assumono un atteggiamento critico verso il Governo che hanno voluto e salvato in almeno 10 occasioni.

Ma, soprattutto, mi piacciono quando - memori, evidentemente, del piano "Solo" - evocano sinistre immagini per stigmatizzare la quota percentuale raggiunta la quale dovrebbe assegnarsi il premio di maggioranza: 40 va bene; 42,5 no.

Sono spettacolari, non c'è che dire. Approfittano della pochezza degli avversari per riaffermare ciò che sono sempre stati: una forza di opposizione incapace di trasformarsi, sempre uguale a se stessa, come il linguaggio che usa.

Il fatto è, purtroppo, che, anche dall'altra parte, non si fanno mancare nulla: Alfano crede davvero di essere il segretario politico di un partito; la Santanchè pensa addirittura di esistere e quindi parla. Il Grande Comunicatore, invece, viaggia. Bontà sua: lo avesse fatto prima, staremmo meglio.

Faranno le primarie anche loro: come, non si sa, ma le faranno. Salvo, poi, disattendere il risultato se non piacerà.

Dunque, nessuna riforma della legge elettorale, del finanziamento ei partiti e del resto che incombe. Nessuna riforma, insomma.

Sulla legge elettorale, noi crin una possizione ce l'abbiamo. Non piacerà, perchè è scomoda e non garantisce nulla a nessuno, fatta eccezione per il fatto che sono i cittadini a decidere che vince.

Il maggioritario all'inglese: uno contro uno, senza rete, senza soldi e senza ripescaggi come al mondiale di calcio.

Come fanno i nostri amici inglesi, che di democrazia ne sanno qualcosa.

Uno contro uno: vince il migliore, non l'amico degli amici. E, ovviamente, honny soit qui mal y pense.

Il 27 ottobre del 1962 l'aereo che trasportava il presidente dell'ENI Enrico Mattei precipitava nel cielo di Bascapè, sopra le campagne a sud di Milano.

Il 27 ottobre di questo anno 2012 ricorrono i cinquant'anni dalla morte di un uomo che ha saputo immaginare il futuro usando l'ingegno. Un raro esempio di imprenditore che decise di regalare al suo Paese un disinteressato impegno convinto che le sue idee sarebbero state illuminanti per il futuro dell'Italia. Grazie alla sua nomina a Presidente dell'ENI lo stesso ente di stato si trasformò da istituzione improduttiva e costosa in una realtà di grande prestigio internazionale grazie alle campagne che Mattei fece per stimolare le prospezioni nella Valpadana, nel sottosuolo della quale egli era certo si trovassero importanti giacimenti petroliferi e di gas naturale.

Le Sette Sorelle, massoneria a stelle e strisce, vedendo in pericolo il monopolio del controllo energetico sull'Europa occidentale e temendo sopratutto la determinazione di quest'uomo, non tardarono ad ordirne l'eliminazione. Il sottobosco politico italiano, connivente ed interessato, non esitò a compiacere gli americani (i quali, era ben noto, finanziavano cospicuamente le campagne elettorali della Democrazia Cristiana) e lasciarono assassinare Mattei senza sapere che era il loro uomo più importante.

La sua tragica morte è rimasta coperta da un alone di mistero sino al 2005 allorquando studi accurati (resi possibili solo dal tempo che era necessario trascorresse per coprire le responsabilità dei suoi assassini) confermarono segni di esposizione ad esplosione su parte del relitto del velivolo e sull'orologio di Enrico Mattei. Caduto il segreto istruttorio oggi possiamo sostenere che Enrico Mattei è stato ucciso e con lui si è persa per sempre una grande ed unica opportunità di poter contare nel mondo dell'energia a livello internazionale.

Mattei era una persona di alto valore morale e di grandissima modestia : egli possedeva una fabbrica chimica che produceva ingrassi e saponi e viveva unicamente dai proventi di questa sua attività devolvendo in beneficenza il suo emolumento di presidente dell'ENI.

Leggere oggi del valore umano di quest'uomo pensando al marciume e alla delinquenza comune che si aggira nei corridoi dei palazzi delle più importanti istituzioni repubblicane, fa tremare. Chissà se qualcuno degli uomini che governano oggi i nostri destini troverà almeno la coscienza per commemorarlo dignitosamente.

Alberto Musy da mesi dorme sospeso nell'incoscienza in un letto d'ospedale. Il primo giorno di primavera il consigliere comunale di Torino sposato e padre di quattro figli veniva colpito da ignoti e a tutt'oggi nessuno è stato in grado di conoscere nè il movente nè il colpevole di questo fatto di sangue. La famiglia che lo attende a casa non ha ancora saputo chi è il responsabile della distruzione della loro vita.

Domenica 23 settembre 2012 alle ore 15 intervenite in piazza Castello a Torino per chiedere tutti insieme che chi sa parli e che gli organi investigativi non rallentino il ritmo delle indagini per trovare i colpevoli di questo fatto orribile. Alberto, la sua famiglia e la società civile chiedono giustizia, vogliono la verità.

 

Gianni Agnelli tiene tra le dita una sigaretta nel ritratto di Andy Warhol.

Era la Torino di una volta, fucina di idee e di sacrificio, di orgoglio, di fabbrica e di immigrazione. Ma non era solo fatica e nebbia ma soprattutto costruzione di ricchezza economica e di nobiltà interiore.

Francesco Faà di Bruno, Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso, Alessandro Antonelli, Francesco Garnier Valletti, Francesco Cirio, Vincenzo Lancia, la signorina Lenci, Marcel Bich, Riccardo Gualino, Guido Gozzano, Piero Gobetti, Felice Casorati, Carlo Levi, Mario Soldati, Primo Levi, Arturo Ambosio, Erminio Macario, Fred Buscagliene, Giuseppe Erba, Vittorio Pozzo, Giampiero Combi, Federico Tesio, Pietro Cavallero e Rosa Vercesi (anime nere), Gustavo Rol, Giulio Einaudi.

Leggendo questi nomi qualcuno si chiederà come mai sono raccolti uno accanto all’altro. Perché erano tutti torinesi o diventati tali per amore di questa Città che non esiste più.

Nessuno se ne è accorto o ha fatto finta di niente per non dover vivere il rimpianto ed assistere a quello che la nostra Città si trova oggi a rappresentare: il nulla.

Il silenzio assordante serpeggia nelle aule istituzionali del Consiglio comunale incapace di assumere posizioni adulte, il marciume lorda le poltroncine del Consiglio Regionale del Piemonte dove si stravaccano consiglieri furbi e disonesti eletti con i nostri voti ingenui e puliti.

La povera residuale buona stampa subalpina tenta di allestire il “parterre de roi” intellettuale e imprenditoriale con i nomi di giovani geni come i proprietari di una catena di gelaterie o il cioccolataio di via Cagliari ma queste persone non rappresentano altro se non una riedizione sgalfa e ridicola di chi a Torino ha fatto impresa prima di loro e loro stessi si trovano in prima pagina in questa città decadente solo perché glielo hanno concesso le finanze e le garanzie immobiliari dei loro genitori. In un mondo di ciechi un orbo è re.

E’ grottesco come le classi dirigenti che si sono susseguite negli ultimi anni abbiano saputo distruggere con metodo sadico, cretino ed autolesionista le origini della loro storia e quanto è peggio è che queste persone non hanno neppure il riguardo di onorare la memoria di chi li ha preceduti perché vivono imbevuti nella prosopopea di essere loro gli eredi naturali di tanto intelletto.

Non valgono nulla. Queste persone sono solo sciacalli ingordi che non riescono neppure ad avere a cuore il futuro dei propri figli se non riescono ad interrogarsi di fronte allo sdegno del tempo che stanno vivendo come attori in prima persona.

 

Nota; per chi volesse conoscere le storie degli uomini e delle donne che hanno onorato la propria città vada in libreria: Osvaldo Guerrieri, abruzzese di Chieti, saprà soddisfare questo desiderio di curiosità.

 

Da un mese e mezzo non scrivo più. Qualcuno penserà che il mese d'agosto, l'estate, l'aria delle vacanze e la successiva ripresa delle attività lavorative siano per tutti un momento di distacco o peggio di distrazione.

Non è così: ho trascorso una brutta estate e per scrivere anche di cose non sempre positive è necessario avere la mente sgombra.

Nel frattempo le cose in Italia e nel mondo non sono migliorate, anzi se possibile sono anche peggiorate ma attingere all'informazione, che è l'unico sistema per imparare a rovinarsi la vita, ha tritato per trenta giorni consecutivi le solite notizie indigeste, sciorinando numeri e proposte inattendibili per uscire dalla gora della crisi globale. Nessuno crede più in niente, neppure in questo presidente del consiglio che pareva essere fuori dai giochi ed invece si è ritrovato più che mai vittima di quegli stessi giochi di potere che lo hanno ingabbiato e gli hanno fatto assumere decisioni dolorosissime per tutti gli italiani costretti a vivere nuove difficoltà in un Paese in cui il lavoro non c'è più o ne è rimasto davvero poco.

La testimonianza però è necessaria e Pensiero Italia continuerà nel suo tentativo di riportare le persone a pensare un po di più con la propria testa in un atto di autoconservazione necessario a coltivare una legittima speranza sopratutto per le generazioni future cui fanno parte i NOSTRI figli. A chi è rimasta poca forza per gridare diamo la possibilità di unirsi a noi per dire che non si deve sottostare ad un destino amaro voluto da altri ma si deve combattere tutti insieme per un'Italia migliore.