Lo spoil system del neopresidente Cota non esclude livello alcuno : gli ormai vituperati organismi di celebrazione dei 150 anni dopo l'Unita d'Italia perdono un altro dirigente. Paolo Verri viene rimosso dall'incarico di Direttore del Comitato per non essere stato in grado di gestire i contatti con gli sponsor e viene parcheggiato al Museo dell'automobile (in ristrutturazione). Gioie e dolori del potere conquistato a gomitate.Neppure Fiorenzo Alfieri, suo pigmalione, è riuscito a fare qualcosa per bloccare la rimozione ed ha dichiarato : è indifendibile.

Chi di noi uscendo di casa e vedendo il cassonetto dell'immondizia ricolmo all'inverosimile, contornato di ulteriori sacchetti di plastica pietosamente appoggiati a terra in attesa che qualcuno riporti la situazione alla normalità, non ha pensato : ma sarà mai possibile che nessuna amministrazione riesca a capire quanto sia indispensabile la pulizia delle strade in un paese normale? Se fossi Sindaco sarebbe la prima cosa a cui penserei !

Ciascuno ha le proprie priorità mentali e si aspetta che chi si deve occupare di gestire il funzionamento della città lo faccia con un minimo di buon senso.

Il buon senso ci sarebbe forse anche ma la cosa più romanzesca è che a Torino non si trova una persona in grado di presentarsi come candidato sindaco alle elezioni di primavera 2011.

I nomi finora comparsi sulla stampa sono quelli che sicuramente il sindaco non lo faranno ed è inquietante che la nostra città non riesca a stanare un uomo capace, un professore con esperienza, un amministrativo di cultura universitaria, un manager che rimetta in sesto - rendendola maggiormente efficiente - l'organizzazione della complessa macchina amministrativa.

I Sindaci da molto tempo sono politici imprestati alla poltrona rossa, incapaci di comprendere le esigenze delle persone. E non solo a Torino.

Sarà cosi difficile trovare un candidato appassionato cui piaccia pensare ad una Torino più bella, con strade ordinate, servizi efficienti, uscite serali sicure e senza la sciatteria delle vie dell' (ex) commercio di qualità ridotte a punti vendita di catene discount ?

Noi quest'uomo lo abbiamo torvato : sarà in grado di unire gli animi e la passione di uomini e donne che a Torino riescono ancora a fare sentire la propria voce, per tornare a vivere nella dimensione che ogni torinese in cuore suo desidera : una città moderna, sprovincializzata, attiva e di nuovo produttiva.

Proseguono i lavori per la nuova Stazione Alta velocità di Torino Porta Susa.

Siete d'accordo ? Torino ha così bisogno delle sue torri gemelle ?

Un articolo spiega il motivo di una gara internazionale per realizzare il grattacielo Trenitalia.

Alessandro Mondo -La Stampa

Diventerà una delle più belle stazioni al mondo», commenta Roberto Cota. «E’ persino più bella di quella di New York», la promuove Sergio Chiamparino, reduce dall’inaugurazione di Eataly nella Grande Mela.

Bella, di sicuro. Funzionale pure. Non ultimo, volano di nuovi investimenti in una città che la recessione costringere a vivere in apnea. In primis, il nuovo grattacielo delle Ferrovie, dirimpettaio di quello di Intesa-Sanpaolo, che ieri si è materializzato nei «rendering» dei progettisti. Anche Torino, toccando ferro, avrà le sue «twin towers».

Questa e molte altre cose sarà la stazione ad Alta Velocità di Torino Porta Susa - costo: 58 milioni «chiavi in mano» - complemento di un piano sul quale le Ferrovie investono una montagna di quattrini: dall’ambizioso restyling di Porta Nuova al Passante, al collegamento dei supertreni con Milano. Fino alla nuova «torre» firmata da Arep, D’Ascia e Magnaghi. Il lay-out preliminare è pronto: entro l’anno le Ferrovie metteranno in vendita i diritti edificatori ottenuti dal Comune in cambio della costruzione della nuova stazione; diverse le manifestazioni di interesse, anche internazionali. I numeri rendono l’idea: 47 mila metri quadrati di superficie; 162 metri di altezza; 38 piani (19 concentrati nella parte superiore e destinati ad uso alberghiero con 400 camere); tre ascensori panoramici esterni; ristorante, panoramico pure quello; fitness-centre, mediateca...

Ieri la visita al mega- cantiere di Porta Susa ad opera di una nutrita delegazione guidata da Mauro Moretti, il vulcanico ad delle Ferrovie appena riconfermato dal governo alla guida del Gruppo. Lo stesso Moretti che in poche ore ha girato la città come una trottola: in mattinata un «blitz» all’assemblea dell’Ordine degli Ingegneri, poi la visita a Porta Susa, seguita da quella a Porta Nuova. Infine l’appuntamento in Regione, dove si è affrontata la matassa del contratto di servizio: decaduto nel 2007 e mai rinnovato. Ad accompagnarlo, tra gli altri, Cota e Chiamparino, con i rispettivi assessori, e il sottosegretario Giachino.

Il momento clou è stata la visita a Porta Susa,- seconda nuova stazione ad aprire i battenti dopo Roma Tiburtina. Da aprile aprirà il primo dei quattro accessi da corso Bolzano, il passaggio urbano «Avigliana», il livello «- 1» con i servizi di stazione e il «- 3» con l’accesso al metrò. Terminato il fabbricato viaggiatori, dicembre 2011, saranno accessibili tutti gli altri spazi della stazione caratterizzata dalla galleria in acciaio e vetro lunga 385 metri e sostenuta da 108 archi: nelle lastre di vetro saranno inserite celle fotovoltaiche.

Un richiamo iper-tecnologico alle gallerie ottocentesche cittadine ma anche un segno della Torino che cambia. E, a sentire Moretti, un omaggio a Italia 150. Non è un caso se ieri l’ad delle Ferrovie, dopo un rapido consulto con Chiamparino, ha deciso di invitare il presidente Napolitano - che il 18 marzo sarà a Torino per avviare le celebrazioni - alla pre-inaugurazione della stazione: «L’unità d’Italia è stata fatta innazitutto dai treni, per questo la dedicheremo alla ricorrenza».

...gabbato lu santo.

A Napoli spesso i modi di dire hanno sostituito tanto inutile eloquio.

Il Partito Democratico ha chiuso a Torino con l'intervento del suo leader Pierluigi Bersani una festa nazionale che ha registrato una partecipazione notevole. Le code agli stand dove si servivano tajarin (qualcuno dice anche con tartufo!) erano infatti all'ordine del giorno quando la pancia brontola e all'attenzione per gli slogan dei politici si sostituiscono sbadigli da stomaco vuoto.

Il piatto forte della violenza dei gruppi antagonisti ha sparso un po di sale su dibattiti spenti in merito a questioni già sentite buone solo per le agenzie di stampa (in attesa di sapere il prezzo dello scopino del water di casa Fini), non facendo altro che seminare tensioni non certo necessarie in un periodo già di per sè irto di pensieri negativi per molte categorie di persone.

Dopo tanti giorni di dibattito credo molti cittadini si aspettassero una traccia, un nome, la conferma che qualcuno avesse voglia di metterci la faccia e presentarsi alle elezioni di primavera come Sindaco del dopo-Chiamparino. Ed invece solo attendismo, il pre-partita delle primarie e nessun nome sicuro. Così Torino resta in attesa mentre corrono le emergenze dell'occupazione, il futuro che non c'è e qualche rimasuglio di grande opera per consolidare i soliti rapporti di affari.

Torino è anche qualità della vita, la politica nazionale si fa a Roma, non in piazza Castello e le strade sporche, i buchi nell'asfalto, la tassa rifiuti sempre più onerosa, e l'assenza di progettualità sono realtà che nessuno considera perchè considerati i mali minori.

A destra non ci sono notizie più chiare e a parte qualche neo-assessore sparato nella mischia (con l'unica certezza per lui di non essere il candidato sindaco) solo silenzi e chiacchiere in gran segreto e tanta, tanta paura di fare una brutta figura.

I cittadini possono esprimere la loro preferenza votando un partito nuovo, Pensiero Italia-Progetto Torino, nella certezza che gli accordi pre-confezionati rimarranno fuorti dalla porta per lasciare spazio alla politica buona, alla soluzione dei problemi di ogni giorno, alle piccole cose che tutte insieme costituiscono un circolo virtuoso per costruire tutti insieme una Torino migliore.

Un brillante giornalista guarda un'Italia che sembrava bella ma era solo un Purgatorio. Sempre meglio di quella di oggi.

 

Il coraggio di costruire

 

 

Le nazioni, le famiglie e le squadre di calcio provano nostalgia per il passato prossimo. Hanno l’impressione che, prima, tutto andasse bene. Se non proprio bene, comunque meglio. L’Italia non fa eccezione. Dopo un’estate meteorologicamente incomprensibile e politicamente cattiva, dove la mondanità ha i sorrisi da Photoshop e il tormentone è la battuta di due ragazze sulla spiaggia di Ostia, è normale guardare indietro con rimpianto. Non siamo solo ripetitivi: siamo bloccati. Litighiamo per le stesse cose, nello stesso modo, con le stesse persone. L’Italia non è stata mai perfetta. Ma quasi sempre era un’imperfezione ottimista.

Nell’estate 1960 le Olimpiadi di Roma segnavano la consacrazione di un Paese che ce l’aveva fatta: quindici anni dopo una sconfitta umiliante, l’Italia faceva registrare un aumento del Pil — si tenga saldo, ministro Tremonti — del 8,3%. Mina cantava «Il cielo in una stanza» e quella stanza si poteva affittare: lo stipendio di un operaio era di 47 mila lire al mese e un giorno di pensione sull’Adriatico costava 600 lire. A Roma, quell’estate, si svolsero le Olimpiadi. David Maranis, premio Pulitzer, scrive: «Furono i Giochi che cambiarono il mondo ». Sponsorizzazioni e televisioni, russi e americani, spie e competizioni, doping e rivoluzioni, gli occhiali da sole di Livio Berruti, i piedi nudi di Abebe Bikila e la sfrontatezza di un pugile diciottenne, Cassius Clay, il futuro Mohammed Ali, la prima pop star sportiva della storia. E l’Italia era lì, tramonti romani e gente in festa, teatro di tutto questo.

Non era il paradiso. Era il solito purgatorio: ma le anime, allora, sognavano. Nel 1960 transitarono ben tre governi — Segni 2, Tambroni 1, Fanfani 3 — ma i politici, mentre litigavano, facevano: leggi, case, autostrade. Migrazioni interne, idee nuove, il cardinale Ottaviani che attaccava i socialisti «novelli anticristi». Neppure i drammatici scontri di Genova — centomila manifestanti contro il congresso del Movimento sociale italiano — riuscirono a cambiare l’umore nazionale, raccontato da Gabriele Salvatores nel suo film «1960» attraverso immagini televisive del tempo (sarà fuori concorso il 5 settembre alla Mostra del Cinema di Venezia).

Il buonumore delle nazioni è una cosa seria. Non dipende solo dal fatto di vivere in tempo di pace: questa è una fortuna di cui godiamo da tempo, ma l’apprezza solo chi ha più di settant’anni, e ricorda la guerra in casa. L’umore nazionale non è neppure soltanto una questione di potere d’acquisto. Da cosa dipende, allora? Semplice: dalla sensazione d’essere dentro una storia che va avanti.

Senza questa capacità narrativa, una comunità non vive: sopravvive. Magari si diverte, spende e spande per mascherare incertezza e delusione. Ci sono abitudini italiane che hanno l’aria d’essere tattiche consolatorie. Penso alle ubique allusioni sessuali (pubblicità in testa), non seguite da un’altrettanto strabiliante esuberanza sessuale; all’ossessione per qualsiasi gadget o al fatto che metà dei maschi adulti siano diventati gourmet, gli altri ciclisti e giardinieri (la libido prende strade strane).

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L’Italia del 1960 si sentiva una protagonista in cammino. I genitori faticavano pensando: i nostri figli staranno meglio. Nell’Italia del 2010 sappiamo tutti — padri, madri, figli — che la nuova generazione precarizzata starà peggio, e già ha bisogno di aiuto (per la macchina, per la prima casa). È un ribaltamento innaturale: la nazione che lo accetta è nei guai.