I dati macroeconomici sulle previsioni dell'anno che verrà sono altisonanti e prevedono un balzo del PIL oltre il 6%. Sono dati cosmetizzati, pettinati e rassicuranti come si confà ad una classe dirigente che non può sbagliare, cresciuta dietro le vetrate del Fondo Monetario Internazionale o alla Banca Centrale Europea: scuole per monarchi del potere finanziario in completi scuri come quelli di Mario Draghi. Dopo aver bonariamente deriso le pochette di Giuseppe Conte l'onda di denari, la più cospicua dai tempi del Piano Marshall e che ha visto l'Italia come il paese dell'Unione più generosamente aiutato, proviene dal borsello di un elegante signore dal curriculum stellare che ha portato non si sa come ed in pochi mesi l'Italia dalle ultime posizioni alla testa della classifica dei paesi più avanzati al mondo in organizzazione sanitaria e capacità di produrre ricchezza nonostante il crollo degli indici di salute economica causato a livello globale dalla pandemia. Come è possibile per le industrie produrre e vendere generando ricchezza (vera) se le materie prime anche solo le basilari come il legno e il ferro sono divenute introvabili?

 

Il reperimento di risorse naturali e petrolifere è divenuto a livello planetario un'impresa ardua ed anche se si hanno a disposizione quattordicimila euro per far arrivare un container da un porto asiatico verso gli Stati Uniti o l'Europa per trasportare merci del valore di gran lunga inferiore al costo di trasporto, risulta complicato calcolare un margine di guadagno così potente da risollevare una economia come quella italiana, pesantemente indebitata da quarant'anni di sprechi e corruzione. Ecco la misura della bugia, di questi dati buoni per certa stampa e ottimi per la politica televisiva, per le agenzie di rating e le carriere di chi vive all'ombra della finanza virtuale. Non sono più i partiti lo strumento di propaganda, non lo è la Confindustria del giovane Carlo Bonomi ma si tratta di messaggi provenienti dalle centrali finanziarie mondiali che dirigono l'orchestra degli investimenti dei paesi ricchi verso l'acquisizione a prezzi di saldo dei migliori assets dei paesi un tempo evoluti e competitivi ed oggi in grave difficoltà e dunque in svendita. Tra i quali ci siamo noi.

Solo oggi vedo l'inchiesta televisiva che Gad Lerner compì nel 2017 nel format "Operai" e risulta difficile comprendere oggi dopo due anni di Covid 19 come possa essere crollata la disocucupazione giovanile dinanzi al drammatico scenario emerso dalle interviste ai giovani che il lavoro, se lo trovano, sono costretti ad accettarlo a  condizioni incompatibili con la sopravvivenza di un individio anche ai costi ridotti di chi vive sull'appennino meridionale, mentre per gli ultrasessantenni che il lavoro ce l'hanno ma lo svolgono da quarant'anni la sveglia suona alle quattro di mattina per lavorare undici ore al giorno come manovali nei cantieri edili rischiando la vita ogni giorno per milletrecento euro al mese.

Non ci si deve augurare che le economie forti dell'Est del mondo implodano sotto il peso della bolla dell'indebitamento (il danno sarebbe grave per tutti) ma è necessario che la politica torni a svolgere il suo ruolo regolatore nel rispetto della dignità dell'uomo e contribuisca seriamente a filtrare notizie troppo spesso infettate dalla disinformazione delle fake news che creano fasulle speranze nelle giovani generazioni di cui nessuno ha intenzione di volersi davvero occupare.

Non ci contavo più. Fabrizio però una sera di due mesi fa me lo aveva promesso ed è riuscito a ritrovare nelle spelonche gelide di una macchina virtuale l'ultimo backup che ha consentito di non perdere tutto ciò che avevo scritto su questo blog sino a pochi mesi fa. Dieci anni sono un tempo che visto oggi è preistoria, considerata la velocità di trasformazione della società e dell'incalzante ritmo della tecnologia e dell'informazione, il nuovo secolo era già iniziato portando con se' cose belle ed altre molto meno.

In veste rinnovata è così tornato torinoduezero.it e sono ancora qui, a stigmatizzare come atto vile ed indegno l'attacco hacker che ha cancellato tutti i contenuti di questa pagina nata dieci anni fa per immaginare una proposta politica per la Torino che ancora rideva per qualcosa e che ha finito per diventare la lavagnetta dei miei sfoghi, dove posso scrivere ciò che non riesco a dire la domenica mattina mentre mi faccio la barba. Sono però andati distrutti per sempre gli ultimi post che non recupereremo più e che rileggevo a distanza di tempo per rivivere il mio umor di cane, come in un diario. Agli odiatori non rimane altra soddisfazione se non essersi appropriati di qualcosa non loro senza scopo alcuno se non il dispetto.

Oggi pensavo che vorrei essere dietro ad una finestra nella casa di un centro storico dell'Italia minore, a Sutri come a Celano, Avezzano o Bassano in Teverina a guardare la neve posarsi sulle strade illuminate di giallo; un silenzio assoluto, un luogo dove leggere la storia di questo paese davanti ad un camino. Non potevo trovare un regalo migliore sotto l'albero. Buon Natale

Negli Stati Uniti d'America il giorno del ringraziamento si è collegato ormai da un ventennio alla festa del consumismo. I colossi dell'e-commerce globalizzato non contenti di aver distrutto il tessuto del commercio fisico in tutto il mondo si vogliono fare ancora una "botta" prima di andare a dormire dopo una nottata di bagordi.

In Italia, secondo i soliti dati di Confcommercio che non si capisce sempre da che parte stia, negli ultimi dieci anni hanno chiuso 64.000 negozi, principalmente nei centri storici. In quei centri storici buoni per certo giornalismo che li usa come sfondo per raccontare storie false di piccole botteghe che ti servono bene, di qualità e di prosciutti a chilometro zero.

Sono tutte ovvietà scribacchiate da giornalisti privi di senso critico verso la professione che svolgono, sfruttati a 5 euro ad articolo che vagano alla ricerca della notizia che non troveranno mai. I centri storici muoiono per colpa dei loro abitanti, poeticamente rimasti aggrappati al camino e alla bottiglia di vino rosso che riescono al massimo ad ispirare la caldarrostata in piazza il giorno della befana. Il resto sono migliaia di ore continuate a ingoiare le scempiaggini vomitate dalle televisioni piatte, sempre più grandi e che costano sempre di meno. Si, perché il BlackFriday trumpiano non uccide solo i negozi di articoli casalinghi, le cartolibrerie e i negozi di abbigliamento ma sta conducendo al disastro anche le catene nostrane dove l'elettronica tenta di resistere ma dove si trovano esposti solo 72 modelli di telefonini anziché 7200 tanto che l'uso che il consumatore globalizzato fa di questi negozi fisici è solo di frequentarli per verificare il prezzo di vendita dell'articolo che ha messo nel mirino in attesa del venerdì nero (che negli anni Trenta tanto bene all'America non ha fatto) per poi correre a casa, a vivere un istante di eccitazione virtuale perché dopo essersi fatto rapinare dalla rete settecento euro, che poteva benissimo spendere in cose più utili, ha però risparmiato ben 51 euro rispetto al negozio che da da lavorare e Dio sa fino a quando, ai suoi concittadini assunti per assistere clienti come lui che del loro servizio e cortesia non sanno cosa farsene. Il venerdì così diventa nero solo per i commercianti delle città.

I quotidiani nazionali in Italia stanno mettendo in guardia da questi specchietti per le allodole che con diabolici sistemi di acquisto di una rapidità inquietante indebitano gli individui deboli, eccitati dalla consegna "entro domani". Solo il sindaco del piccolo centro di Bedonia nel parmense ha avuto la prontezza di spirito di scrivere una lettera aperta agli studenti del suo paese, destinatari di un invitante buono sconto da parte di Amazon per l'acquisto di articoli di cancelleria, musica ed altre cose belle. Quei ragazzi se ascolteranno il consiglio del loro amministratore intelligente, domani potranno sperare di continuare a vivere dove hanno trascorso la loro giovinezza perché significa che il loro paese è riuscito a salvarsi. L'alternativa è un aereo per l'Asia a servire i cinesi.

E’ anche colpa di Fabio Fazio che nell’ultima puntata si è collegato in diretta con una villa molto conosciuta a Roma in piazzale Numa Pompilio, se sono andato a cercare un documentario realizzato da Carlo e Luca Verdone nel 2013. I due fratelli hanno avuto infatti il privilegio di essere stati autorizzati a girare un documentario sulla vita del più popolare attore italiano raccontandola dall’interno della sua abitazione; pochissime le persone che l’artista ammetteva in casa propria dunque una vera dimostrazione di fiducia ed affetto da parte degli eredi.

Nelle parole della sorella Aurelia i racconti delle abitudini che il popolare Albertone soleva praticare nei momenti di relax, in una dimora principesca con vista sulle Terme di Caracalla acquistata per 80 milioni nel 1958 (soffiandola a De Sica) e dove aveva vissuto il gerarca Dino Grandi ai tempi dell’impero fascista.

Ma è la visita che Carlo Verdone fa alla stanza da letto di Alberto Sordi che mi ha colpito: una stanza austera, con un letto da una piazza e mezza e rari mobili su uno dei quali era posizionata una radio bianca e rotonda. Dopo pranzo - la domenica attorno alle 14,15 - l’attore soleva stendersi e accendeva la radio per ascoltare la sua Roma impegnata nella partita di calcio. Tirava su la coperta sino al collo e puntualmente a metà del secondo tempo (o dopo il primo goal) si abbioccava e si svegliava anche alle sette di sera.

Questa scena silenziosa, impensabile per la vita che si presume possa condurre un personaggio pubblico, mi ha fatto pensare che anche io ho radio accese ovunque – che spesso porto in valigia durante i viaggi di lavoro – e guardo pochissimo la televisione. Si perché il suono della radio tiene lontana l’ansia delle immagini vomitate e mescolate ai numeri del contagio in Italia, non solo al tempo della peste. Per questo credo che il silenzio di una casa antica al centro di un piccolo borgo della Tuscia, lontano da tutti, sia il luogo più bello e sicuro per rifugiarsi ad ascoltare le voci lontane attraverso l’antenna in ferrite di una radio che mantenga la giusta distanza tra le travi di legno del soffitto e il mondo che c’è fuori.

 

E' venerdì sera, ultimo giorno d'estate, e mi trovo a percorrere a piedi senza meta le strade di Cecina guardando nel silenzio questa città di ventisettemila abitanti, con i suoi muri, le villette tutte diverse e i palazzi di dieci piani che disegnano le epoche dei geometri senza gusto, le insegne accese e quelle spente. Le vie di una città di mare di inizio secolo.

I segni di un passato glorioso ci sono ancora, da almeno due decenni appannato da ferite di abbandono, di degrado, di oblio. Nel 2019 scenari e angoli così desolati si vedono in agglomerati urbani di altri continenti: escludendo le aree più remote dell'Italia dove la morte dei paesi sta svuotando l'Italia interna, anche in Abruzzo, Molise e Basilicata i centri della città sono curati meglio.
Non c'è in giro nessuno e nell'assenza di persone, fari di auto, telefonini che suonano e rumori di ogni genere vengono in superficie i muri delle case, le grondaie ammaccate, i gradini di marmo scassati, infissi di alluminio anodizzato sporchi da anni che chiudono bassi disabitati, le vetrine e i vestiboli polverosi di decine di attività chiuse pieni di volantini di supermercati e cartacce di ogni genere, i cestini dei rifiuti che non ci sono, l'asfalto a buchi, gli orrori edilizi.
Solo viale Matteotti, nel tratto recentemente ripristinato e portato al decoro con nuovi marciapiedi peraltro già sporchi e con colate di liquidi, gelati sciolti, gomme americane che li punteggiano a migliaia perché nessuno li lava, ha l'aspetto di una città che ha ancora una residuale voglia di esistere. Il resto è uno scenario raccapricciante.
La speculazione edilizia degli anni Ottanta, posta in essere da capitali raccolti in decenni di lavoro quando Cecina era città operosa ed aveva ancora uno zuccherificio, una industria conserviera, calzaturifici e altre attività artigianali è quanto ci resta ed ha addormentato i cittadini proprietari di immobili nel loro percorso verso una vita migliore, che se non riescono più ad affittare le loro casette ai turisti in estate (che non accettano più di spendere ottocento euro per una settimana in abitazioni fatiscenti e umide), cercano di venderle a prezzi che il mercato - in altre zone dell'Italia - non paga più da almeno dieci anni. E allora le abbandonano, lasciano che l'aria salmastra divori gli intonaci e le persiane.
Nessuno dice nulla, il sindaco è stato rieletto forse perché quanto ha fatto durante il primo mandato ha soddisfatto i suoi elettori, ma Cecina è cadente, come una vecchia sdentata dove le attività commerciali pagano affitti stratosferici per servire una clientela che vorrebbe essere accolta da una città diversa.
Mentre la città perde i pezzi gli anziani si ritrovano nei bar di quando erano ragazzi ed anche i ragazzi di oggi preferiscono sedersi a bere birra piuttosto che fare qualcosa per la città in cui vivono, anche solo andando a lavorare.
E' un errore grave che la Toscana, un tempo meta di turismo proveniente da ogni angolo del mondo, in questa parte della provincia di Livorno non sia stata in grado dopo il 1985 di interpretare il cambiamento, di investire su se stessa, per i suoi figli, anziché sdraiarsi aspettando la prossima stagione estiva che non porterà niente di più del poco che ha restituito in questa estate appena finita.
Le città del nordest e la costa adriatica sono modelli virtuosi dove le persone hanno ancora il desiderio di vivere, perché pagano le tasse, in città accoglienti dove si possa immaginare un futuro di benessere e qualità della vita in un Paese dove il territorio, la campagna e il paesaggio sono nell'Italia minore l'unico patrimonio rimasto.
Tra poco sarà ancora inverno e la tramontana restituirà atmosfere bellissime in arrivo dal cielo e dal mare mentre la Città dimenticata, incapace di apprezzare la fortuna di trovarsi in una zona dell'Italia meravigliosa, gli volterà le spalle incapace di ricambiare.