Raramente riporto qui parole di altri, anzi non l'ho mai fatto. Ma la mezza estate che viviamo senza entusiasmo e che dovremmo godere dopo un lungo anno di lavoro, è stata inquinata dalle vicende grottesche di una crisi di governo senza nemmeno un timoniere interessato a condurla.

Affido così ad Attilio Bastianini, dirigente del Partito Liberale Italiano nella Prima repubblica, il compito di illustrare come un liberale possa oggi trovare uno spazio di sopravvivenza in uno scenario degradato, quando non offensivo dell'intelligenza di un popolo intero. Ecco il suo pensiero in una lettera del Febbraio 2015

È normale che un cittadino si chieda: chi voterei, se domani vi fossero elezioni? L’interrogativo merita una correzione: se si votasse e se si votasse con il sistema elettorale che è in corso di approvazione (premio alla lìsta, capolista bloccati, mono cameralismo imperfetto, etc.) chi voterei?
La domanda diventa ancora più interessante se a porsela fosse un cittadino di cultura liberale (un cittadino che chiede allo stato di ridursi, che sa che se non si riducono le spese non si riducono le tasse, che chiede alla burocrazia di funzionare, alla scuola di istruire e poche altre cose).
La risposta, coerente, sarebbe: nessuno.
Oggi, dopo le convulsioni per la elezione del capo dello Stato, la riorganizzazione del sistema politico ha avuto una accelerazione.
È probabile che la sinistra si riorganizzi. Spazio e voti ci sono, compressi nel serbatoio della protesta senza sbocchi di Grillo. È cosa che, da liberale, non mi interessa, ma è giusto e persino opportuno che avvenga.
Renzi completerà la trasformazione genetica del PD e di quel che resta della macchina dello storico comunismo. Costituirà un contenitore poliedrico e negherà ogni appartenenza culturale, affidando la trasformazione della società italiana ad un pragmatismo verniciato di efficienza. Non vi sarà alcun interesse, anzi vi sarà il massimo fastidio, per chi tentasse di rappresentare progetti caratterizzati. È facile prevedere che i benefici della ripresa, che ci sarà, serviranno a consolidare di nuovo uno Stato obeso. I liberali non avrebbero che fare e, peraltro, non sarebbero graditi.
Ma il peggio è nel centro e nella destra. 
La Stampa oggi scrive che il centro destra è “imploso”. 
Stritolato NCD, frantumata Forza Italia dalla nullità di un progetto politico alternativo e dalle contraddizioni di una leadership ancora opprimente, ma invecchiata e gravata di troppi interessi, rimane solo la deriva leghista. La Lega ha lasciato per strada i progetti federali (su cui ora poco sembra insistere) e cavalca invece, con argomenti e linguaggi da osteria di paese, il peggio del peggio: il risentimento verso l’Europa, l’odio per gli immigrati, le crociate religiose.
Nulla che possa lontanamente interessare un liberale.
Nulla che possa, peraltro, essere la premessa per vincere una elezione.
Se questo è il quadro, torniamo alla domanda iniziale.
Antiche speranze di poter riportare un progetto liberale all’interno di formazioni politiche più ampie (quante volte abbiamo parlato della necessità di una “gamba liberale” in Forza Italia!) sono da cancellare dalle nostre prospettive, perchè si sono dimostrate prive di risposte politiche ed oggi sono anche rese inutili dalle norme elettorali di cui si discute.
Non ci resta che una strada: se la riforma pone uno sbarramento al 3%, può non essere impossibile coltivare il sogno di farcela da soli. Ad una condizione preliminare: che nulla di vecchio ci sia e che tutto sia nuovo, nel progetto radicalmente liberale da proporre, negli uomini che lo presentano e nel linguaggio che lo comunicano.

Chi non conosce Franco Arminio non capirà. Il paesologo di Bisaccia da anni scrive libri e poesie fermando nel tempo angoli di paesi dimenticati sull’Appennino meridionale, nella speranza di svegliare dal sonno i comuni dell’Italia interna, amministrati da giunte tramortite da bilanci desolati e da visioni oniriche del tempo che fu. E che ora non è più e mai più sarà.

Il bar è aperto e frequentato da vecchi con le gambe flosce nascoste da bermuda, che alternano la spuma a sequenze di gotti di vino parlando male delle nuore e dei giovani in generale. Un tempo i negozi di alimentari erano tre ed ora ne rimane uno gestito dalla seconda generazione che insiste nel tentare di convincere se stessa che i tedeschi e gli olandesi si rechino in questi luoghi in estate alla ricerca di “quel prosciuttino, del salamino di cinghiale e di quel pecorino locale” non sapendo che le auto dei turisti hanno già caricato negli hard discount di Rotterdam, Berlino e Groningen tutto l’occorrente per togliersi i morsi della fame e che ciò che gli manca lo acquisteranno presso la stessa insegna globale nel primo centro più vicino, evitando di dover portare il loro denaro ai commercianti italiani. Anche perché hanno capito da tempo, grazie alla rete, che quei prodotti di locale non hanno niente e che gli verranno venduti prosciutti ritagliati da suini allevati nell’est Europa, alimentati a ghiande e cherosene. Gli stessi aromi facilmente reperibili allo Spar di Stoccolma, ad un terzo del prezzo.

Il paese è usato per fotografarlo; telefoni acquistati a rate come in tutto il mondo carpiscono migliaia di immagini e i turisti bevono acqua dalle fontanelle, non lasciando alcun contribuito a paesi che ne avrebbero gran bisogno.

I sindaci di questi comuni della Toscana - che non sono diversi da quelli descritti da Arminio in “Vento forte tra Lacedonia e Candela” - mettono insieme giunte di parenti, interessati all’elezione solo per modificare il piano regolatore e consentire finalmente al cugino di condonare la veranda in alluminio anodizzato sperando di vendere poi la casa a qualche investitore disinformato sul crollo del mercato immobiliare, e l’annesso agricolo dove custodire la Mercedes pagata a cambiali con la pensione dello zio.

L’ordine del giorno ricorrente nella convocazione del consiglio comunale è focalizzato come un mantra sull’organizzazione dell'annuale salsicciata agostana, verso cui convergeranno per dieci giorni qualche migliaio di persone in ciabatte alla ricerca del posto libero sulla panca di legno, conquistata a gomitate per consumare il frugale pasto nel borgo. Dopo di che tutti a casa aspettando l’anno prossimo, col serbatoio in riserva.

Non è sufficiente guardare Matera e gridare alla soluzione trovata: nessuno si attiverà per reperire risorse e salvare dalla marginalità centri di mille abitanti che vivono ancora nella verghiana religione della proprietà terriera e dei muri che i residenti si tramandano di padre in figlio. Chi non è nato qui non riuscirà mai a condividere niente, avere un aiuto, una informazione per una casa in affitto in cui vivere senza doverla comprare.

Le bandiere blu e arancioni alimentano le evanescenti politiche del Touring Club, rimasto insieme all’ACI nei film di Carlo Verdone un’istituzione completamente inutile, mentre i vicoli si riempiono di erbacce, le case cascano a pezzi perché le matrone romane e le signore milanesi non capricciano più per avere la casa col camino da far vedere agli amici, ma si scambiano gelosamente gli indirizzi buoni in città dove si mangia con venti euro.

I nonni (non ancora tatuati) lasciano a nipoti supertatuati quello che serve loro ad immaginare una vita senza lavorare, non perché il lavoro non ci sia ma perché sono privi di amor proprio e pensano che questo Paese li possa mantenere per sempre con la birra in mano mentre gli altri, privi di dote e costretti a piegare la gobba, sudano a rifare le camere e a servire i turisti ai tavoli della costa versando i contributi necessari a sostenere le casse dello stato sociale.

La politica è cieca e sorda, non ha strumenti per trasmettere a questi naufraghi della storia il messaggio che il rifugiarsi nel vino e nei dialetti porterà all’autodistruzione, aggrappandosi alle stelle cadenti che in estate restituiscono ancora la speranza che la loro terra riuscirà a sopravvivere.

Mentre gli elettori, incuranti del loro destino, si vendono per una fetta di torta ed una manciata di ciliegie.

 

Era il 1983 e nelle radio il cantante romano Gazebo riempiva con le sue note l'atmosfera spensierata di quel tempo con la sua "I like Chopin". Per alcuni anni avevo tagliato i capelli da un taciturno barbiere di via Cavour, gentile e silenzioso come una tomba etrusca. Gigi conosceva Mimmo già da qualche tempo e mi aveva parlato di questo simpatico ed elegante signore pugliese che in una bottega di via Principe Amedeo a Torino da quasi vent'anni esercitava la professione di parrucchiere.
Riceveva le signore ed i signori nel salone con vista sul portone della Fondazione Einaudi, ed un tabellone cinematografico del film Shampoo appeso al muro del locale dava il nome alla sua bottega e riportava - in una rimodulazione dei protagonisti - il nome suo e quello di Lucia Giordano, la sua socia in affari.

Non tardò ad arrivare accanto alle tre poltrone destinate ai clienti un bellissimo Juke Box dei primi anni sessanta, con la cupola di vetro dalla quale si potevano vedere i 45 giri di Bruno Martino, Mina, Adamo, Giorgio Gaber e altre decine di artisti dell'epoca primordiale della televisione canora. Non era necessario inserire il gettone, un meccanismo consentiva di scegliere senza limitazioni il disco preferito e Mimmo cominciava a seguire le note canticchiando "sei bellissimaaaaa" o pezzi di Celentano mentre il sole inondava di luce il pavimento antico di legno.

Una lanterna rossa e blu, il barber pole americano, girava di continuo appesa sul muro accanto all'uscio che dalla strada con una scala a chiocciola conduceva al salone del primo piano.

Dopo dieci anni di rasature e quattro chiacchiere io e Mimmo avevamo preso l'abitudine di uscire a cena ogni tanto oppure, alla chiusura serale delle 18, recarci nel più vicino bar che avesse le bottiglie aperte e due patatine da sgranocchiare prima della cena. Torino in via Po era, come lo è ancora oggi, gremita di persone che però avevano ancora la buona abitudine di sorridere ogni tanto.

Mimmo conosceva tutti nel suo quartiere: era sua cliente Nicoletta Casiraghi amica liberale di sempre con la quale discuteva ovviamente di politica e di cose buone da mangiare. Il suo lavoro negli anni aveva richiamato moltissime persone a sedersi sulle sue poltrone nella bottega che ai primi anni duemila era stata completamente ristrutturata trasferendosi al piano strada e arredata all'ingresso, sulla destra, da una libreria che conteneva esclusivamente libri scritti da suoi clienti. Professori, imprenditori, politici, sociologi, urbanisti, ed anche io avevamo donato una copia di un libro scritto da noi, a disposizione dei clienti in attesa del taglio.

Non credo di aver mai frequentato un ambiente più giocoso, ricco di energia, di simpatia, di tagliente polemica dove - nell'era della sinistra post Castellani - si potevano incontrare il suo amico e cliente Sergio Chiamparino, ii magistrato Luciano Violante, il nuovo sindaco Piero Fassino, il professor Profumo e decine di esponenti del mondo torinese che in quegli anni a vario titolo si impegnava per la Città.

Uno di loro, Augusto Cherchi, ex collaboratore di Furio Colombo aveva aperto uno studio di comunicazione ricavato in una vecchia fabbrica di pianoforti del quartiere di San Salvario con tanti giovani che lavoravano davanti a coloratissimi iMac. Una sera fummo invitati a partecipare all'inaugurazione dei locali con un bravissimo suonatore di fisarmonica che allietava i convenuti con canzoni di Fabrizio De Andrè, al cospetto di sontuosi vassoi della vicina pasticceria Castellino, di proprietà di una mia ex compagna delle elementari. Vino e musica a volontà, tante risate in un microcosmo torinese che non penso tornerà più.

A queste iniziative io e Mimmo ci presentavamo vestiti in abiti confezionati dal suo amico sarto Pippo Gervasi; me lo aveva consigliato per arricchire il mio stile personale ed aveva un piccolissimo laboratorio dove lavorava sino a tarda ora con il suo aiutante, in via Maria Vittoria a pochi passi dal liceo Gobetti dove avevo studiato. I "tre bottoni" venivano confezionati con tessuti che Mimmo mi suggeriva, recuperati spesso dal suo vicino di negozio Pozzati che da sempre vendeva stoffe all'angolo con via Accademia Albertina. E' impossibile ricordare tutte le persone che abbiamo incontrato in tante serate, alcune in case private, dove l'accoglienza ed il buon cibo (e sopratutto il vino) non mancavano mai. Per anni abbiamo ricordato una memorabile cena in piedi nel bellissimo attico dietro via Roma dell'amico e grande fotografo Franco Turcati, il quale possedeva un meraviglioso frigorifero americano stracolmo di una smisurata quantità di bottiglie di vino proveniente da Codroipo, la sua terra friulana. Lo avevamo letteralmente svaligiato e siamo rientrati a casa ridendo come due adolescenti, quasi sorreggendoci a vicenda. Io abitavo all'epoca un bell'appartamento, sovradimensionato rispetto alle mie disponibilità economiche, in piazza Castello sopra il Bar Patria e questo consentiva di rientrare sempre a piedi godendo la città nelle ore della sera, percorrendo strade vuote illuminate dalle luci gialle che rendevano tutto meraviglioso.

Mimmo lavorava sempre e ad esclusione di un breve periodo in agosto che trascorreva con la famiglia in Sardegna, ogni tanto si recava a Pont Canavese a passeggiare per le strade di quel paese mezzo montano, in una atmosfera gozzaniana. Mimmo era anche tanti personaggi: un Luigi Pirandello per ragioni fisiognomiche, un Gaetano Salvemini interpretato in una bella produzione cinematografica sul deputato socialista meridionalista, realizzato grazie al lavoro di un gruppo coordinato da Carlo Boccazzi. Non si tirava mai indietro quando c'era da fare qualcosa di bello, di stimolante, togliendo tempo al riposo delle sue lunghe giornate lavorative. Uno dei momenti più alti che dal 2004 erano diventati un appuntamento fisso era "la maialata": tenuta inizialmente ogni anno a fine Novembre in un bar/trattoria sempre diverso nelle strade limitrofe al suo negozio, era poi stato organizzato con regolarità presso i locali dell'Associazione dei sardi a Torino (poi divenuto circolo Antonio Gramsci) in via Musinè, nel cuore del Campidoglio; consisteva nel ritrovarsi a cena e far cucinare ai gestori del circolo due maialini fatti venire appositamente dalla Sardegna, annaffiati dal vino che ciascun partecipanete doveva portare con se. Centinaia di fotografie sono state scattate in quelle serate, a testimonianza di un pezzo di Torino che si ritrovava per cantare in compagnia come negli anni Cinquanta, in una atmosfera davvero singolare. Alle ultime edizioni cui ho partecipato era già impossibile trovare posto libero ed era divenuto un appuntamento mondano allietato dalla chitarra dell'amico Giacomo, suo allievo parrucchiere da ragazzo, che cantava e suonava benissimo le canzoni di Celentano.

Enzo Cugusi, animatore del circolo Gramsci ed infaticabile organizzatore di eventi, aveva seguitato nel suo impegno per riunire gli amici negli spazi che Mimmo aveva messo a disposzione in un ridente giardino che aveva acquistato nel frattempo sulla collina di Torino, in quelli che divennero "I lunedì del barbiere" ove spesso si tenevano frugali pasti ispirati alla cultura culinaria della sua Sardegna, dove non mancavano mai secchiate di Negroni sbagliato e acciughe col burro, salame e alla fine liquori e sigari toscani.

Caro Mimmo io ti ricordo così. Me ne sono andato da Torino nonostante i tuoi consigli di rimanere e non sono più venuto a trovarti. Per questo che nel giorno in cui un messaggio mi ha informato che non c'eri più, mi è cascato il soffitto sulla testa. Non è vero che non ne ho avuto il tempo, il tempo per gli amici si trova sempre, ma non avrei mai immaginato che il destino non mi avrebbe concesso una occasione giusta per venire a salutarti come avrei voluto. E così sono venuto al saluto il giorno in cui nella tua bottega erano convenute centinaia di persone per augurarti buon viaggio, dove sul legno chiaro di una bara la bandiera sarda e la maglia di Onda Granata che avevi fatto stampare per gli amici del Toro e del buon vino, facevano da labaro in memoria delle tue passioni.

Sei stato un maestro di vita, il tuo grandissimo cuore generoso non ha retto tutto l'affetto che teneva dentro ed io per questo non ti dimenticherò mai.

 

Se a Gloria Guida non fosse venuto in mente di intervistare in tv Teresa Ciabatti nessuno saprebbe chi è. E non ci saremmo persi niente comunque.
La "ragazza degli anni Novanta" dopo aver deprecato l'appartenenza alla P2 di suo padre, medico chirurgo all'ospedale di Orbetello che in casa conservava i lingotti d'oro di Licio Gelli e aveva fatto costruire sotto la piscina della sua villa sul mare un bunker antiatomico e antisommossa, diventa scrittrice. Intervistata nella sua sontuosa casa nel centro storico di Roma dove vive oggi, alla scuola Holden di Alessandro Baricco conosce l'uomo della sua vita: un ricco possidente toscano insegnante di sceneggiatura per hobby, che le dona anche la gioia di un figlio. In una intervista la "scrittrice" ammette che la perdita della vllla di famiglia a Orbetello, cittadina dove è nata e dove ha trascorso l'infanzia, le ha tolto l'identità di "reginetta" (tanto che ha anche tentato di ricomprarsela dal russo che nel frattempo la aveva acquistata).
"Quasi" vincitrice di un premio Strega, questa viziata e capricciosa quarantasettenne non avrebbe venduto nemmeno una copia dei suoi libri se non fosse stata figlia di un massone e oggi moglie di un ricco rampollo che le consente, lo ha dichiarato lei stessa, di passare le sue mattine a letto. Questa è l'Italia di cui non abbiamo nessuno bisogno e di cui dobbiamo liberarci al più presto.

Pippo Baudo in pieno delirio anni Ottanta aveva imbonito per mesi le famiglie italiane raccolte la sera sui divani a fiori ocra davanti ai tubi catodici dell'epoca, facendo marchette televisive in cambio di denaro per pubblicizzare la Italcable, concessionaria dello Stato italiano per la telecomunicazione - e da esso mantenuta - per settant'anni per poi essere fusa in Telecom Italia nel 1994, ad ingrassare l'eredità dei nipoti dell'ing.Giovanni Carosio, che la fondò nel 1921. Italia e USA non erano mai state così lontane e così vicine, grazie ai buoni auspici del Pennellone che regalava la possibilità di parlare al telefono, alla modica cifra di mille lire al minuto, con i parenti emigrati laggiù.

Le chiamate nel frattempo sono transitate su altri canali digitali, dalla telefonia mobile alla rete, offrendo a grandi e piccini l'emozione, per noi oggi ultracinquantenni, di collegarsi e parlare vedendosi con ogni latitudine in tempo reale a costi sempre inferiori.

La TV di Stato italiana questa mattina ha trasmesso immagini da alcune capitali europee; da Varsavia alla verde Slovenia, alla Croazia entrata in Europa solo cinque anni fa, a Malta dove i benefici fiscali attraggono centinaia di milioni di investimenti da ogni parte del mondo. Le strade, i parchi, le bancarelle, i bar, le fermate degli autobus, i marciapiedi di queste città sono ben tenute, in gran parte nuovissime, non solo perché le telecamere inquadrano quello che vogliono ma perché i cittadini chiedono di poter vivere nel 2019 in luoghi non degradati, senza gente che dorme per strada, senza famiglie sventurate (e ce ne saranno anche li) che reclamano come mendicanti un aiuto allo stato perché non hanno lavoro e devono vestire i loro bambini per mandarli a scuola. E i governanti rispondono a queste semplici e legittime richieste da parte di cittadini che pagano le tasse per vivere in modo decoroso.

Oggi nessuno si interessa più all'Italia e non si disturba nemmeno per farle una telefonata, per chiederle come sta, come si fa ad un genitore anziano e solo cui si augura il buon anno almeno la mattina del primo gennaio.

Mentre in Polonia la disoccupazione nel 2018 è crollata al 3%, in Croazia non esiste proprio e vi sono difficoltà a trovare nuovi lavoratori. Le vetrate delle biblioteche delle istituzioni culturali come scuole e università sono pulite, non con aloni lerci perché non si riesce a garantire nemmeno la pulizia degli ambienti dove studiano i nostri ragazzi perché non ci sono i soldi o la cooperativa ha i dipendenti in malattia o perché non vengono più saldate le fatture da parte dei committenti.

Noi, mentre le economie avanzate si organizzano per migliorare ogni giorno, perdiamo tempo a riportare sui social il nostro parere vedendo Dibba ripreso in un video trasmesso dalla tivù pubblica col cappello da Gustav Thoeni, di fianco all'ascaro di Secondigliano in tuta da sci. Stiamo girando attorno al problema, ci preoccupiamo solo di avere nel nostro cellulare la sim con il miglior piano tariffario e la maggior quantità di giga disponibili per inviare i nostri selfie idioti e filmini di gente che si schianta sulle autostrade russe ricoperte di ghiaccio. Così ci prepariamo allo schianto, quando ci toccherà.

Mentre in Lituania i giovani studiano e le imprese realizzano porti e infrastrutture perché la mafia russa c'è ma non sarà mai un cancro come quella italiana, i bambini delle scuole di Roma lunedì 7 gennaio 2019 non andranno a scuola perché la capitale d'Italia è sommersa di immondizia abbandonata lungo le strade.

Siamo obesi nel giro vita e negli occhi, ci nutriamo di bestialità televisive e icone youtuber nostrane che ridono alle nostre spalle mentre clicchiamo facendogli guadagnare tanti soldi, perché vogliamo vedere come si pettinano o sentirci raccontare che pisciano per strada perché questo mondo appartiene a loro e possono farne ciò che vogliono. Pensiamo solo a mangiare e a fare festa, come nelle comunità tribali del Congo (che però sono meno ingorde per ovvie ragioni).

Se andiamo in aree del mondo disastrate dalla povertà, quella vera, a trascorrere le nostre irrinunciabili vacanze torniamo con il telefonino da mille euro pagato a rate pieno di foto di manghi e papaie manco non si trovassero all'Esselunga di Viale Zara; facce inebetite dal lusso a buon mercato che solo quei luoghi possono offrire a miserabili come solo noi sappiamo essere. Se andiamo nelle Valli olimpiche piemontesi o nelle Dolomiti non riusciamo nemmeno a badare ai nostri figli, lasciandoli schiantare contro il destino, impegnati a messaggiare gli amici per programmare l'aperitivo in quota con sfondi da Colorado invernale.

L'Italia è un paese in rovina, eppure le banche italiane sono piene di soldi che non prestano più e che la gente spende sempre di meno. I negozi chiudono per fallimento e disperazione e i nostri figli rimangono accucciati in casa sino a trent'anni perché il paese in cui sono nati non offre lavori confortevoli da svolgere, preferibilmente dal lunedì al venerdì, possibilmente al caldo di inverno e al fresco d'estate.

Svegliamoci, non serve girare il mondo fotografandosi davanti alle aragoste per capire che stiamo sbagliando tutto. La rete che tanto amiamo offre anche questa possibilità: informarsi a costo zero. Forse un domani qualcuno chiamerà l'Italia e dall'altro capo del filo risponderà una voce gentile, che si dichiarerà ancora felice di vivere in questo Paese.