Lettera scritta nel 2014 al giornalista, alla quale non è mai seguita risposta
Egregio signor Fasanella,
ho intercettato grazie ad un amico la produzione cinematografica “Il sol dell’avvenire” ispirato dalla sua esperienza - che so essere profonda - circa l’universo brigatista.
Non riesco a comprendere come sia stato anche solamente pensabile l’immaginare di sdoganare il passato sanguinario dei terroristi italiani, gabellandolo come un’analisi storica quantomeno accettabile e spiegata con impressionante chiarezza ed emotività dai protagonisti del film, attraverso l’invito a pranzo di cinque vecchie canaglie (tre di loro terroristi condannati a svariati anni di galera) mentre il silenzio e l’oblio offendono ogni giorno le vittime del terrorismo ed i loro parenti rimasti orfani grazie a questi signori appesantiti dalla crapula e dall’incedere degli anni.
La presentazione di Reggio Emilia messa in scena in auto per le strade della città da Alberto Franceschini con l’indicazione dettagliata dei luoghi della sua giovinezza (ove non sapendo cos’altro fare di meglio fabbricava bombe molotov in compagnia di un simpaticone dirigente locale del PCI) sarebbe istruttiva se a parlare fosse un santo sociale, un imprenditore che ha avuto successo oltre l’Oceano atlantico e che ha dato lavoro a molte persone, un religioso che ha passato la vita a migliaia di chilometri dalla sua terra per curare i malati e ad aiutare gli ultimi: diventa per contro offensiva per la memoria dei caduti innocenti nel momento in cui è un terrorista a raccontare il suo rapporto con una città Medaglia d’Oro della resistenza.
Non è giusto ed è quantomeno grottesco ed ingiurioso che a distanza di oltre quarant’anni si utilizzi la storia più lugubre del nostro paese, presentando brutti ceffi attovagliati in una osteria dell’Appennino Reggiano che cantano davanti a tre bottiglie di vino vuote, che quasi brindano al loro passato senza mostrare alcun segno di pentimento (a parte le lacrime patetiche di Loris Paroli sul finire del documentario) quasi a tentare di convincerci che avevano ragione loro, che il loro pensiero critico e la violenza posta in essere in seguito ad esso sono stati passaggi necessari per la riconquista della democrazia in favore dei più deboli.
Non possiamo insegnare ai nostri figli che la visione del mondo attraverso le lenti ottenebrate di questi personaggi, protetti dal potere, dai servizi segreti e dal marciume istituzionale che si è ingoiato il nostro Paese, sia una versione plausibile, una alternativa al qualunquismo e al disimpegno altrimenti faremmo un passo indietro troppo grande ad un prezzo che non ci possiamo permettere di pagare.
Il consentire la divulgazione di storie come quella che lei ci ripropone è la dimostrazione che la classe politica del mio Paese ha sbagliato tutto, ma il conto lo stiamo pagando noi cittadini ligi al codice penale e alla Costituzione della Repubblica Italiana, per errori commessi da altri che il potere giudiziario, corrotto e pilotato, ha ritenuto sufficientemente redenti da poter loro concedere di circolare liberi per le nostre strade, rilasciando interviste, collaborando con dirigenti e deputati della sinistra più estrema, carezzati da un ambiente opaco e complice che non ha mai smesso di eccitarsi di fronte alla “giustizia proletaria”.
Dunque, gentile giornalista, mi spieghi lei quello che con il regista Pannoni avete voluto significare con questo film e sarò disponibile a rivedere, se sarete convincenti, le mie posizioni.
Distinti saluti,
Andrea Reali/Torino