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Categoria: Torino20
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Avevo l'età di mio figlio quando il 16 marzo 1978 un bidello della scuola media Manzoni si affacciò dalla porta di legno grigio comunicando che tutti i ragazzi sarebbero dovuti uscire e rientrare nelle loro case. Non credo che quell'uomo potesse portare una notizia migliore ad una classe di dodicenni. Non capii nemmeno la gravità del motivo per cui quella mattina fummo fatti uscire in anticipo, neppure quando gli adulti presenti nell'atrio della scuola comunicarono che era stato rapito il presidente della DC e sterminate le guardie che lo proteggevano. Quel giorno sulla strada verso casa acquistai in un'edicola di via Madama Cristina il mio primo quotidiano: l'edizione straordinaria di Stampa Sera (che chiuse la redazione pochi anni dopo). Quell'anno ancora oggi è considerato l'ultimo del periodo più nero della storia repubblicana del dopoguerra anche se l'eversione insanguinò l'Italia ancora per qualche tempo, per poi spegnersi e dare vita ad un nuovo Paese che finalmente si sentiva liberato dalla cappa oppressiva della politica violenta, della lotta di classe, dei proiettili nelle gambe di uomini che facevano il loro lavoro. L'economia e la speranza ripresero a correre.
A distanza di quasi quarant'anni quell'Italia è sprofondata in un baratro se possibile ancora più sepolcrale, nella melmosa palude della corruzione espansa in ogni ganglio dell'amministrazione dello Stato, in fondo ad un cratere dalla cima del quale la classe dirigente che occupa abusivamente le istituzioni guarda verso il basso, quasi con compassione, incapace di fermare il turbine della corsa all'accaparramento di ciò che resta, dell'ultima fettina di torta. Oggi, a differenza di quel giorno di primavera, credo di aver capito che la gente non riesca più a distinguere il bene dal male, i buoni dai cattivi. Oggi la gente è ridotta in schiavitù da un nemico per nulla immaginario e guarda dal basso verso l'alto sperando che dalla cima del cratere qualcuno trovi la pietà di buttare nel buco qualcosa da mangiare.